“John Keats, Negative Capability: estetica dello scarto” di Antonino Tagliarini


Tra letteratura e psicoanalisi si sono creati elementi di contingenza e vicinanza, come del resto in tutto il mondo dell’arte, che in poesia hanno una evidenza ancora maggiore. Si può dire che dal 1900 quando Freud pubblica L’interpretazione dei sogni le avanguardie storiche fanno tesoro dell’insegnamento del maestro di Vienna soprattutto nelle correnti simboliste e surrealiste.

In questo articolo vorrei trattare il processo di creazione che viene messo in luce dal poeta inglese John Keats con il concetto di Negative Capability, Capacità Negativa, che presenta molteplici punti di contatto con il dispositivo analitico ben prima della sua messa a punto freudiana. John Keats conia un nome e un profilo definito alla creazione poetica a partire dal vuoto, un vuoto puramente creatore che abita il soggetto del poetare. Keats dà un nome al vuoto dell’essere chiamandolo Capacità Negativa, come principio della creazione nel quale il poeta permane in una posizione che non è solo di alterità di sé. È un concetto che il poeta inglese conia nelle lettere scritte ai poeti amici e ai fratelli, il cui significato sta nella capacità di abitare una certa dimensione del vuoto tollerando l’angoscia che questa posizione può implicare, che trova controparte nella chiave estetica di Keats. Il poeta inglese è stato tra i più autorevoli a concentrarsi e interrogarsi sul processo creativo. Altri poeti e artisti hanno agito da questa dimensione di vuoto artistico ma senza offrire una riflessione che culminasse in un riferimento il cui concetto si esprime in una facoltà d’assenza. Nel linguaggio comune negare una capacità è come azzerarla, nella creazione che Keats elabora come negativa la negazione è il margine nel quale la creazione precipita in elevazione, sprofonda nell’abisso celestiale della creazione estetica. Secondo Keats perché ci possa essere creazione occorre la facoltà negativa di un fare in sottrazione all’agire, una passività attiva, un vuoto coincidente con l’inazione costante di un rimanere aperti, permeabili, in una ricerca dell’incerto di sé e dello spaesamento radicale. Il vuoto di cui ci rende partecipi Keats è il vuoto che abita il simbolico come reale dell’innovazione poetica e del suo proprio essere come poeta. È un vuoto in sottrazione all’azione, dove la sottrazione insiste sull’immagine mimetica per un processo creativo che resta così privo di riferimenti mondani, diurni, che pertengono all’Altro, in chiara e evidente posizione differenziale, non coincidente, all’idealismo tedesco. Keats ci parla chiaramente dell’inconscio, non nega le identificazioni, ma ne riconosce la natura, che è dell’Io, rispetto al vuoto che pertiene all’essere del soggetto e per questo il poeta dirà che oltre alla creazione nella capacità negativa risiede l’essere come tale. Keats porta per mano la poesia al centro dell’assenza e assegna al poeta il compito di scrivere e rintracciare il proprio essere dall’eco che risuona nella sua propria mancanza. Siamo in un campo aperto, privo di riferimenti, siamo nell’oggetto mancante freudiano e nell’oggetto piccolo a di Lacan, l’oggetto inesistente che tuttavia modella il soggetto nella forma del suo desiderio, l’oggetto scarto rispetto alle produzioni identitarie e fantasmatiche, la dove non batte il sole; Keats ci porta nell’attesa di un desiderio che non conduce all’altro, a qualcosa o qualcuno identificabile nell’alterità di sé, ma solo al desiderio da cui il Poeta conia sé stesso, il proprio essere poetico. È da questa particolare evanescenza che Keats tiene a distanza l’Altro, immergendovisi e rintracciando all’interno del linguaggio, il grande Altro di Lacan, il suo inganno di vuoto, la sua inconsistenza strutturale, il cui principio consta di una negatività attiva, di una attività in negazione di sapere, attraverso la quale il soggetto psicoanalitico e artistico perviene al proprio vuoto creativo.

L’essere cartesiano del cogito ergo sum, del pensiero positivo come causa e effetto a cui siamo abituati non regge, si sgretola dal punto di vista della creazione di cui ci parla Keats, infatti è nel mancamento di sapere che il poeta riscontra la creazione del nuovo essere, la capacità negativa è la condizione estetica attraverso la quale l’angoscia dell’assenza di sé conduce il soggetto a poetare. Keats sentiva quel non essere come centro di gravità della creazione, sentiva che l’io non è padrone in casa sua, anticipando Freud, avvertiva nella sensibilità del poeta la mancanza a essere come ciò che rappresenta la posizione di scaturigine estetica.

Per correttezza anche Bion è da citare poiché ha introdotto il concetto di capacità negativa in psicoanalisi restando però nel quadro immaginario, dal gruppo all’individuo, che tende a escludere il vuoto, l’assenza costitutiva del soggetto, esponendosi alla relazione speculare. È esattamente ciò che Keats per un verso e Lacan per un altro escludono per poter edificare il processo creativo estetico nel poeta e la posizione etica dello psicoanalista.

Il Modernismo inglese, a cavallo tra 800 e 900 ha fatto tesoro dell’impianto psicoanalitico, in particolare nel Stream of Cosciousness della scrittura come Flusso di Coscienza facilmente associabile alla libera associazione di pensiero freudiana. Virginia Woolf adorava Keats, che affettuosamente chiamava “poeta bambino”, nei suoi quaderni parla della necessità di mettere da parte l’io per un rinnovamento della scrittura e anche della società così rigidamente vittoriana. Arginare l’illusione conoscitiva dell’Io, una conoscenza che tende alla rimozione del desiderio e del dubbio a esso collegato nella prevalenza del sapere empirico.

Come Keats, seppure diversamente, anche Virginia Woolf aveva una certa personalità, spesso in cedimento, nelle vicinanze dell’Altro; attraverso la capacità negativa di attesa paziente, di studio, di dedizione e una particolare inclinazione del desiderio, dopo anni di lavoro la Woolf poté con ragione scrivere: posseggo la mia anima. Nonostante il grave disturbo psichico e la sofferenza che la affliggeva è proprio attraverso questa particolare capacità in levare, negativa ma in grado di attivare le leve dell’animo, Virginia Woolf è stata capace di ricrearsi nella scrittura un nuovo essere di sé, non semplicemente un altro io, ma un essere differenziale, non coincidente di sé. Virginia Woolf faceva transfert con la scrittura, la quale era il suo specchio opaco. La capacità negativa è un vuoto di sapere capace di portare a creazione l’essere del soggetto in controtendenza alla razionalità scientista di tutte le modernità anteriori e successive all’illuminismo in cui il soggetto si definisce nelle nuove conoscenze formulate delle scienze, piuttosto che dai dogmi religiosi, il cui sapere struttura, satura, l’io illuminato da un sapere però, che resta estraneo, non proprio.

Se vogliamo questo intendere il soggetto che Keats concepisce come essere estetico, evoca i contenuti onirici più nascosti rispetto ai contenuti manifesti del sogno, i Resti Diurni, il materiale scenografico apparente proveniente dalla quotidianità condivisa, il materiale dell’Altro in uso al sogno, differentemente dai Resti Notturni, più vicini all’Inconscio, al desiderio, all’essere di vuoto del soggetto, di volta in volta da rinnovare e significare.

Nelle suoi scritti Keats ci rende partecipi del concetto di Negative Capability scavando dentro sé, prendendo coscienza del proprio essere soggetto alle intemperie dell’Altro; il poeta inglese era cosciente di avere una personalità fragile, così fragile da immedesimarsi declinando nella presenza dell’altro fino a divenire, attraverso la scrittura, una ulteriorità negativa di sé. L’assunto di negativo come in psicoanalisi, è da intendersi nell’accezione di un’affermazione umbratile, oscura, da decifrare, che si imprime a livello dell’inconscio, che necessita di una elaborazione che metta da parte la superficie apparente degli elementi per pervenire ai contenuti di verità del soggetto, dunque non universali, ma specifici di un determinato individuo. La particolare posizione che il poeta inglese porta in atto dispone all’abdicazione della sua personalità, lo espone all’Altro, all’alveolo di vuoto in esso, all’apertura desertificata di conoscenza, che per Keats è il movimento immobile attraverso il quale fare emergere l’essere estetico della creazione poetica. Alcune decine di anni dopo Arthur Rimbaud dirà: io è un altro, esplicitando la natura mimetica, camaleontica dell’io, il luogo dei significati impressionisti e non dei significanti da ascoltare e rielaborare in forma soggettiva. Secondo Keats perché ci possa essere creazione occorre la facoltà della capacità negativa, un vuoto al cui livello fare coincidere lo sforzo costante di rimanere aperti, permeabili, in una ricerca dell’incerto di sé e dello spaesamento radicale. Keats porta per mano la poesia al centro dell’assenza e assegna al poeta il compito di scrivere dall’eco che risuona nella sua propria mancanza d’essere. È nel mancamento di sapere che il poeta riscontra la creazione estetica del proprio essere, la capacità negativa è lo metonimia attraverso la quale una certa angoscia dell’assenza di sé conduce alla metafora gioiosa della creatività poetica. Per Keats occorre un vuoto d’immagine da sublimare, concetto difficile per noi oggi oberati da una realtà che vive solo nelle immagini che la producono e riproducono.

Credo che si possa dire che il poeta inglese concepisce in anticipo il capovolgimento dell’assunto significato/significante di Da Saussure operato da Lacan nella concezione di inconscio di linguaggio, azionando nel vuoto di linguaggio stesso un niente di conoscenza da cui configura un sapere non identificativo ma soggettivo, poiché in Keats l’essere viene prima di sapere. Credo che questo sia il Reale di John Keats, nella concezione dell’essere connotato da una qualità ambigua, da una sfumatura permanente di incertezza che per il Poeta è un valore estetico: bellezza è verità, verità è bellezza, ciò che voi sapete in terra, altro non giova. È la bellezza che sostiene la verità e questo è quanto c’è da sapere, scrive Keats ne Ode a un urna greca, in cui tesse una forma di dialogo con Thanatos da cui trae il valore estetico ideato come fondamento del proprio essere.

La mancanza d’essere della capacità negativa consta del rapporto sapere-essere, del cogito ergo sum cartesiano capovolto negativamente, svuotato; è potenziando negativamente l’essere nella sua propria mancanza che concepisce l’essere stesso come fautore di soggettività centrato nel vuoto creativo. C’è qui una indicazione al sapere non conosciuto insito nel soggetto dell’inconscio di cui parla Lacan (cui accenna anche De Andrè con parole semplici, secondo il quale il sapere non conosciuto è la pratica del genio).

Vuoti: resti, scarti, reale

Da quale vuoto parla Keats? Egli non traccia una teoria della capacità negativa, parla cogliendo la dimensione di vuoto come creazione, cercando la dimensione di sé che possa cogliere la Poiesis, la dimensione da cui la creazione poetica diviene Poiesis, ciò che non esisteva dell’essere. In questo senso ciò che appare del suo pensiero spostato sulla psicoanalisi, sembra un resto, un residuo di Reale che sopravanza il Simbolico, ma che non lo destruttura, anzi, nella ricerca estetica della bellezza Keats trova la forma per affermare il proprio statuto poetico da cui il giovane artista tratta della vita l’articolazione con la morte. Parla da una posizione in cui il Nome del Padre ricuce lo strappo di vuoto, fa ancora tenuta sui tre registri RSI. La capacità negativa dunque è una possibile metafora della relazione con la mancanza d’oggetto, con la costruzione di un oggetto sostitutivo, metaforico. L’oggetto piccolo a di Lacan è sostanzialmente una metonimia, che come tale può articolarsi come può non articolarsi al discorso. È il frammento di reale che il soggetto recupera elaborandolo o meno, come scarto.

Nella visione aerea che Lacan descrive in Lituraterra sembra che i registri non abbiano più molta importanza, il reale pervade, segna, l’intero campo che l’autore osserva dall’aereo in cui si trova. I rivoli d’acqua che segnano il territorio sottostante sono i segni che l’Altro impone al soggetto, che il soggetto può, decifrandoli, manipolare e recuperare in una traduzione più vicina al proprio desiderio e non più al godimento imposto sul corpo nella ripetizione. Il vuoto qui è da intendersi come risultato di una non scrittura soggettiva poiché sottoposta, cancellata, dalla ripetizione pulsionale che lascia la pagina bianca, ovvero segnata come da geroglifici, significanti scollegati. Significanti che se portati all’attenzione del soggetto possono essere nuovamente modellati in una significazione più vicina al desiderio che al godimento. Il vuoto della capacità negativa di Keats ha i tratti della sublimazione che in parte ricalca quanto appena detto. Ma Lacan indica anche una possibilità fuori dalla sublimazione tipica della creatività, fuori metafora, fuori linguaggio. Keats sapeva che l’aria tiepida di Roma l’aveva raggiunto oramai troppo tardi. Sapeva che gli restava pochissimo tempo nonostante i suoi poco più che vent’anni. Volle lui stesso effigiare la propria tomba con la scritta che possiamo vedere anche noi oggi sulla sua lapide: Qui giace il poeta il cui nome è scritto sull’acqua. La scrittura e la cancellazione, il nome e l’acqua, il simbolico e il reale, il sapere e il godimento. Nel vuoto, nello spazio della separazione di queste dualità si trova anche la capacità negativa di John Keats.

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