Editoriale

“Il testo come pre-testo” di Alessandro Guidi

La scoperta dell’inconscio da parte di Freud ha avuto delle conseguenze sia nell’ambito epistemologico delle scienze, sia nel campo artistico, sia nel campo clinico della cura. Infatti l’inconscio si può considerare un testo-secondo che emerge nella parola di colui che parla o nello scritto di colui che scrive (testo-contenitore). Il testo secondo non si dà immediatamente, cioè non si espone subito, ma è un nucleo esigente che impone la sua presenza al terzo, con discrezione o improvvisamente, senza preavviso, al lettore, cioè a colui che per statuto ha il compito di far incontrare il soggetto-autore dell’opera (testo-contenitore) con il soggetto del testo, e ambedue con il soggetto del lettore (il testo-lettura) stesso per mezzo di una quarta presenza epistemologica; questa quarta presenza si definisce l’uno+tre ovvero colui che arresta la serie ermeneutica delle interpretazioni arbitrarie che si trasformano in opinioni, perché è supposto che sappia leggere gli altri testi nucleari presenti nei testi-contenitori. Da tutto ciò risulta che intorno al testo contenitore si possono compiere delle operazioni multiple pari ai testi secondari contenuti. L’inconscio è un testo-secondo che certifica e sottolinea automaticamente ciò che la parola detta per significare qualcosa non riesce a fermare subito ciò che vuol dire perché rimanda ad altro, ha bisogno di un secondo tempo, di un’altra testata, di un altro urto per rompere la fortezza del significato. L’inconscio è lo sgretolamento delle difese della fortezza del significato attraverso l’irruzione, dall’interno della fortezza, di una forza che eccede la natura della stessa parola. Questa forza è la pulsione che corrisponde alla forza del testo nucleare quando esso contamina il linguaggio ovvero il dire del senso. La pulsione del testo nucleare compare nel testo contenitore all’improvviso come una stella in cielo che indica una via interrotta dal senso che l’autore indica. La pulsione che fa irruzione nel testo contenitore, porta alla luce qualcosa del testo nucleare, un materiale fatto della stessa sostanza dell’altrove che ha a che fare con la forza del desiderio del soggetto messo in moto dalla stessa pulsione nella sua versione di ricerca. Il percorso della pulsione non programmabile si avvale del pertugio significante, e della vampata vulcanica, per travasare la sostanza dell’altrove o Das Ding (La Cosa) dalla periferia al centro del discorso comune. Si infiltra, si infila nel buco, nello spazio del discorso e fa uscire tutta la portata dell’inconscio, cioè di un testo altro, e prende un’altra direzione e un altro senso, ovvero il senso delle stelle o della luce del destino del soggetto del testo che si impone: è il testo che dà una gran testata al mondo del senso. La scoperta dell’inconscio ha messo in luce l’esigenza di un testo multiplo che non si lasci andare solo al significato che l’autore vuole imporre, ma tenga conto anche della sua necessità di uscire in qualche modo, di farsi avanti, di bussare alla porta perché qualcuno apra, perché lo liberi dalle difese dell’Io-senso, ma che, contemporaneamente, uscendo venga raccolto da un altro senso, quello della dimensione del suono. L’inconscio ha inaugurato nella storia dell’uomo un andamento che ci dice che tutto ciò che viene detto da colui che parla o scrive, è una seria mistificazione, una copertura, un’illusione dell’altrove, che si divide tra una cosa da proteggere e una cosa da smascherare, e insieme costituiscono il tessuto del testo nascosto. E ciò che questo tessuto conduce è la macchia di un’incognita, di una X che va protetta da ogni Y che si può aggiungere alla X: e allora tutte le protezioni che tendono a difendere la X come incognita necessaria che si aggiunge ad ogni Y, potranno trovare sempre una Z che seguirà la via delle stelle o il suono delle campane.
La scoperta dell’inconscio ha messo in luce la sua caratteristica fondamentale, quella di essere trovato solo nella distrazione del soggetto, di essere trovato nelle pieghe di un errore o di un calcolo sbagliato, di uno sguardo improvviso fulminante o di una voce che evoca, l’inconscio dimostra di essere imprendibile per ogni imprenditore che voglia costruire il testo in un’impresa redditizia e trasformarlo in un feticcio, ovvero in un testo-specchio e non più un testo-quadro.
Il testo altro, l’inconscio, sfugge a qualunque tentativo del soggetto di razionalizzarlo con certezza, di farlo coincidere, cioè, con le motivazioni personali o con quelle intellettuali; ciò significa che Freud ha introdotto nella logica del se(n)sso un intreccio inestricabile tra ragione e godimento, tra narcisismo che si specchia nel risultato e nell’estetica della forma. Qualcosa d’inevitabile questa scoperta l’ha messa in luce: qualunque sia il genere in gioco, il testo è sempre un pretesto per scrivere su un foglio bianco, sullo spartito musicale, sulla lavagna, sulla sabbia, su un muro il proprio inconscio. In questo modo il soggetto si espone all’altrove, si espone all’interpretazione (opinione) del lettore e così costruisce le basi per far emergere cosa ci sia nelle relazioni sociali ovvero nella somma delle interpretazioni dei lettori che si rovesciano però immediatamente in opinioni che seguono gusti personali piuttosto che logiche legate alla struttura del testo nucleare. Allora, alla fine di ogni ragionamento, il pre-testo del testo coincide con il far passare il tempo che non è un semplice passatempo perché, come afferma mirabilmente la poetessa Anna Achmatova: “Tutti siamo ospiti della vita per poco”.
Il pretesto dell’esporsi del soggetto, il pretesto per rettificare e, quindi, differenziare l’interpretazione dall’opinione, conduce al quadrivio che ogni testo porta con sé; un quadrivio che apre a cammini o a pellegrinaggi che rincorrono la X, che sia una falena, una meteora, un abbaglio, un’illusione, un fantasma, uno spettro, una fede o una magia o più radicalmente una verità. Tutte queste possibilità sono incluse nel quadrivio della Focide – dove Edipo incontrò ignaro suo padre Laio e lo uccise per la banalità della baldanza – e non possono non esserlo e non possono non essere esigenze soggettive, non possono non essere scelte del soggetto e anche opportunità del testo ovvero opportunità inscritte nel testo stesso che ha dunque in questo caso un carattere epistemologico, oppure sono opportunità che il testo offre al lettore perché ha un carattere letterario nel quale la variabile del passare il tempo, offre soluzioni infinite nel linguaggio tanto da percepire che il “mio per poco” sia come un qualcosa di indeterminato, che solo i posteri saranno testimoni del quando.
Ma nel frattempo il soggetto costruttore di testi costruisce la storia propria e di riflesso quella dell’altro e costruisce involontariamente il tempo: se ne accorge quando ne sente il peso sul corpo che lascia segni, segna e allora, fermandosi come una macchina, si accorge della storia che ha costruito con il suo testo. Ma costruire la storia non coincide con il costruire un testo perché questo è fatto di scarti, di resti che generalmente la storia respinge. La storia, infatti, come la psicoanalisi ci insegna, è fatta della somma di tutto ciò che la STORIA scarta, è fatta della somma delle differenze e dei rifiuti scartati ed è per questo che prima o poi i nodi vengono al pettine: il pettine è il rastrello che accumula e aggroviglia i rifiuti della storia.
Sarebbe bene considerare questo modo di dire come l’esempio sul quale ruotare per produrre testi che siano la somma di rifiuti nei quali la perla dell’altrove si confonda con i rifiuti della consuetudine.
Di pre-testo in pre-testo siamo arrivati al centro dell’interesse del testo che riguarda la domanda “che cos’è l’arte”: ebbene, la risposta può sembrare provocatoria o per lo meno assurda: “l’arte non esiste esiste l’inconscio” insieme agli artisti naturalmente, perché sono gli artisti che costruiscono testi che confermano, senza saperlo, l’esistenza dell’inconscio, che attraverso il loro fantasma soggettivo promuovono un opera d’arte. Un’opera d’arte è un testo urgente che sbanca ogni senso, è un testo che si può intrufolare alla chetichella in un testo contenitore, che può infilarsi nel letto, come una donna seducente, per fa sì che il testo contenitore prenda il giusto verso, quello che non fa una piega.
La psicoanalisi, da Freud a Lacan, non ha fatto che ripetere implicitamente appunto che “l’arte non esiste esiste l’inconscio” e la somma di tutti i testi, detti opere d’arte, non sono altro che pre-testi per dire “Io esisto”, “ci sono”, “guardatemi”, “leggetemi”, “ascoltatemi”; questo è l’urlo, il grande urlo dell’arte, che nella storia si è levato nel cielo, per affermare l’esistenza dell’inconscio soffocato, ingannato, coperto dall’apparenza estetica del testo artistico e direi dell’Io artistico. Il messaggio dell’inconscio del soggetto che abita questa terra è condensato nel testo-quadro “l’Urlo” di Munch, il testo dell’angoscia, ovvero un sentimento che non inganna, dice sempre la verità e si può aggiungere che questa verità riguarda il testo come somma dei rifiuti, che è un pretesto per passare il tempo e non sentire tutto insieme l’urlo angosciante di Munch.
In ultima istanza, se seguiamo la lezione di Lacan sul testo, tutto converge sull’etimologia che, per quanto mi riguarda, non può mai mancare all’appello della parola testo che in latino deriva da textum, il cui significato letterale è “tessuto intrecciato” (da texere, tessere).
L’inconscio tesse la sua trama e la mosca del soggetto è attirata dalla seduzione della marmellata e ci lascia le penne. Ma per fortuna queste penne hanno la stoffa delle piume per scrivere o delle penne biro, hanno la stoffa della scrittura e dunque riescono a uscire dalla presa mortale delle dolcezze materne attraverso costruzioni fuori-senso, insensate, comiche o drammatiche che permettono, come afferma Starobinski, “di ritrovare noi stessi nel testo”.
Allora il testo raccoglie e tesse la trama del soggetto-autore che si ritrova in riunione con ogni soggetto lettore e ambedue si intrecciano con il soggetto del testo. La tessitura del testo è dunque questo continuo farsi e disfarsi delle tessere di cui si compone il nodo dei tre soggetti che si incontrano all’appuntamento della pagina bianca. Il pretesto del testo è dunque la messa in scena di un appuntamento al buio perché la trama è tutta da scrivere e riguarda in parte: 1) ciò che del pre-testo entra nella trama del testo 2) in parte ciò che della trama da scrivere, il testo rivela quello che mostra essere la differenza tra l’autore del testo e l’autore della trama 3) in parte riguarda ciò che il lettore, ascoltatore ecc. aggiunge come ermeneutica a quella dell’autore del pretesto e all’autore fittizio della trama del testo.
Ma il testo come pretesto, che annoda l’incontro dei tre soggetti, di quell’incontro inscrive, soprattutto, la voce reale che si leva alta nella storia come testimonianza di un passato che avverrà, di un presente che è nel testo e di un futuro sempre inedito, questa è la voce dell’inconscio come incognita rappresentante dell’incontro dei tre soggetti che scrivono (tessono), sempre, intorno a un buco: quello del corpo dell’autore.

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